Quando si parla di guerre concentrate in un singolo stato o in una singola regione, spesso si tende a sottovalutarne l’importanza. I motivi sono svariati: lontananza geografica o assenza di interessi. Eppure, vale la pena di citare un dato poco rassicurante: la guerra civile libanese, durata ben 15 anni e sei mesi, dal 1975 al 1990.
In Siria il conflitto comincia nel 2011 come protesta nei confronti del regime. Il timore che giustifica il parallelismo con la guerra libanese è dato dai recenti fatti delle ultime ore. Ma soprattutto dalle diverse forze coinvolte sul campo, che ne fanno un ormai un conflitto di portata e interessi geopolitici internazionali.
I turchi combattono contro i curdi siriani schierati a protezione dei civili, sostenuti dagli Usa. Potenzialmente quindi, turchi contro americani. In questo caso, i due eserciti più potenti della NATO.
Ad acuire la tensione ci sono anche i russi a favore del regime di Damasco, attenti a non offendere gli interessi turchi e a continuare nella lotta allo Stato Islamico. Infine, il dittatore siriano Assad, ad Afrin ha combattuto i turchi con le sue milizie. Che ha favorito indirettamente gli obiettivi statunitensi.
Nonostante vi siano zone in cui non si combatte più, i profughi restano. E non tornano nelle città di origine, distrutte e mai tutelate nel corso del conflitto. La guerra civile porta a cambi di potere frequenti. Le fazioni in lotta tra loro si alternano, ma la realtà civile non viene salvaguardata.
La cosa agghiacciante è l’aumento in gran numero di vittime civili. Oltre alle morti della battaglia citata prima, ancora più sanguinose sono le recenti battaglie sul fronte di Ghouta e Damasco. Questo è il vero dramma di una guerra civile. A prescindere dal luogo e dalla portata che assume.